“Acqua e zammù prima io e poi tu”, dicevano una volta i palermitani davanti agli acquavitari, per ribadire l’ordine della fila, tanta era la popolarità di questa bevanda e tanti i clienti che ogni giorno si recavano a berla negli acquafrescai sparsi per la città.
Provate oggi ad offrirne un bicchiere ai vostri ospiti, al posto di una delle bibite più in voga del momento! A meno che non abbiano qualche decina di anni sulle spalle scorgerete sui loro volti lo sguardo sorpreso di chi non sa di cosa state parlando. Molti, infatti, non la conoscono o, se ne hanno sentito parlare, non hanno mai avuto il piacere di rinfrescarsi con questo straordinario composto dissetante, ottenuto dalla semplice miscela di acqua ghiacciata, in gergo “atturrunata”, e anice.
Una tradizione popolare che a Palermo si tramanda da generazioni. I libri di storia la fanno risalire, addirittura, al periodo della dominazione araba. Lo “zammù” si ottiene dall’anice stellato, ma la parola deriva dal sambuco, un digestivo realizzato per l’appunto con fiori di sambuco e anice, che i palermitani sorseggiavano a fine pasto, possibilmente con un chicco di caffè chiamato “mosca”. Le alchimie linguistiche del siciliano trasformarono il sambuco in “zambuco” e quindi in “zammù”.
Per secoli lo bevvero dopo aver messo in infusione i frutti della pianta per una decina di minuti. All’inizio dell’’800 la prima produzione industriale dell’anice distillato, che semplificò e ridusse rispettivamente le modalità e i tempi di preparazione. In una tabaccheria sita in piazza Rivoluzione, di proprietà della famiglia Tutone, nacque il primo laboratorio per l’imbottigliamento dell’anice puro. Da quel momento sia gli acquivitari che le famiglie più abbienti ebbero la possibilità di comperare una bottiglia di distillato, subito pronto per essere versato nell’acqua e bevuto.
Nel giro di pochi anni il nome dell’anice si legò indissolubilmente a quello dei Tutone e il chioschetto accanto la tabaccheria diventò per molti un importante punto di ristoro dalle fatiche e dalla calura estiva. Un luogo frequentato dal popolo, ma anche dalla borghesia e dall’aristocrazia della città. L’acqua e zammù era, infatti, alla portata di tutti.
Per tutto il XIX secolo e fino agli anni ‘70 del ‘900 è stata una delle bevande dissetanti più consumate e più popolari a Palermo e in molte altre zone della Sicilia. Il suo successo fu messo in discussione con l’avvento delle bibite gassate di ogni tipo, che invasero il mercato e che da circa 50 anni dettano i gusti delle ultime generazioni. Così l’acqua e zammù è diventata un elisir per pochi intenditori ancora alla ricerca di sapori unici e naturali.
Un piacere tutto da riscoprire.